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Le Chiese

 

La chiesa parrocchiale di Maria Ss. Della Consolazione, sorge nello stesso luogo della chiesa antica.

Intorno al 1852 fu ingrandita fino ad inglobare anche l’area un tempo occupata dalla piccola chiesa dedicata a S. Antonio da Padova che, attestata nel Seicento, ma forse risalente alla seconda metà del secolo precedente, era di jus patronato della famiglia Tonelli. L’ampliamento della chiesa così com’è oggi fu merito dell’allora parroco Polliandro Piermarini mentre nel 1865 il parroco Sebastiani la fece decorare dal pittore neretese Marzi.

La chiesa, di ampie proporzioni, presenta strutture interamente in laterizio; è a tre navate,con la nave centrale sopraelevata. La facciata, scandita da lesene, è movimentata dal motivo a timpano spezzato e dalla scalinata d’ingresso richiesta dalla collocazione in pendio. Sul retro svetta il campanile costruito unitamente alla chiesa. Nel 1700, a causa del terremoto, crollò la parte piramidale che fu immediatamente ricostruita. La muratura è in cotto. Sul fianco sinistro, su un mattone, troviamo incisa la seguente epigrafe:

 

M. 567 DIC.
IXXX.D.MA
“1567 DIC(ATUM) 31 D(IE) M(AI)”

Questa epigrafe potrebbe provenire dalla piccola chiesa di S. Antonio da Padova.

Nel 1920 iniziarono una serie di lavori di restauro che si protrassero fino al 1929. L’artista don Giuseppe Toscani preparò i bozzetti delle pitture che furono esposti nella vetrina di un negozio del paese. Le opere murarie furono eseguite da Lelii Pierino e dalla ditta Lelii-Santoni. Tra il 1927 e il 1929 furono decorate l’abside, la volta e le lunette delle finestre. I due pannelli posti nell’abside ai lati dell’altare, raffiguranti “S. Emidio che converte Polisia” e “S. Martino Vescovo che dona ai poveri”, furono eseguiti rispettivamente nel 1931 e nel 1932. La chiesa fu riaperta al culto il 17 maggio 1929.

Il ciclo pittorico principale, dipinto dal Toscani nel catino absidale, è quello raffigurante il miracolo della Madonna della Consolazione e cioè la salvezza dalla distruzione programmata dall’esercito francese per opera della Madonna da sempre venerata in Nereto. Il fatto avvenuto il 22 dicembre 1798 viene descritto dal parroco dell’epoca Emidio

Eleuteri ma ufficialmente evidenziato in un opuscolo di Domenico de Guidobaldi, fatto stampare a premura delle famiglie del Priorato. Il Prevosto Piermarini confermava il racconto in una solenne predica del 22 dicembre 1844, essendo stato egli stesso testimone dell’avvenimento, poiché all’epoca del miracolo aveva otto anni. In alto, al centro, è assisa Maria Santissima della Consolazione, alle sue spalle un’aureola formata da testine di serafini e una colomba che aleggia sul suo capo; ai suoi piedi due angeli in atteggiamento di preghiera. Nelle due sezioni laterali troviamo due angeli per parte, uno dei quali prega e l’altro da l’incenso. Nella parte bassa del catino, si aprono tre archi. A destra, sullo sfondo, è rappresentata l’armata francese guidata da un ufficiale su un cavallo bianco; in primo piano stanno, come a consiglio, tre ufficiali superiori in costume napoleonico. Un ufficiale si è tolto il cappello in segno di sconforto e abbassa la spada mentre l’ufficiale a cavallo, su ordine dei suoi capi, che hanno visto nella piazza grande, un’armata più numerosa e più agguerrita della loro, ordina la ritirata. Nell’arco a sinistra troviamo l’armata angelica che la Madonna della Consolazione fece apparire per spaventare i francesi e salvare il paese dalla distruzione e dalla morte. Al centro, davanti ad un altare, alcuni sacerdoti rendono grazie all’Altissimo e alla Vergine per la liberazione dall’eccidio.

All’interno, fra gli arredi, sono da ricordare: l’artistico sacro fonte battesimale in travertino e legno dipinto e il busto di S. Martino, realizzato con lamina d’argento, recante sul petto un reliquario che custodisce un frammento d’osso; entrambi fatti realizzare da don E. Eleuteri rispettivamente nel 1801 e 1802. Troviamo inoltre la statua lignea dell’Immacolata Concezione recentemente restaurata, opera del 1600, donata alla chiesa dai Baroni Ranalli e la statua fittile della Madonna della Consolazione tardo riecheggiamento dello schema delle Madonne con il Bambino create da Silvestro dall’Aquila.

La chiesa di S. Maria del Suffragio, attestata nel 1676, appare oggi nella veste della ristrutturazione ottocentesca. Tra gli arredi più antichi troviamo alcune tele di modesta fattura raffiguranti la Madonna del Suffragio o delle Anime Purganti, l’una seicentesca e l’altra del XVIII secolo, e un crocifisso ligneo. 

La chiesa Maria Ss. Addolorata, sorge nell’antica Piazza del Carbone, l’attuale . N. Palma ci racconta che fu costruita nel borgo a via di oblazioni de’ fedeli, per cura del pio sacerdote D. Mario Ippoliti, verso la metà del passato secolo: e dove nel fervore della Missione del 1822, si è eccitata altra confraternita corroborata da regal diploma de’ 27 agosto 1823. 

La chiesa di S. Rocco, all’inizio dell’attuale Via Matteotti, fu eretta intorno al 1527, anno dell’epidemia di peste. Costruite per lo più in campagna, ma a poca distanza dalle mura cittadine, queste cappelle dovevano essere accessibili, durante le pestilenze, anche ai portatori del morbo, che potevano così entrare in chiesa evitando di venire in contatto con la popolazione sana rintanata nel paese. In caso di epidemia le chiese venivano trasformate in lazzaretti. 

La chiesa di San Martino, costruita e utilizzata dai monaci benedettini nelle loro solenni liturgie, servì anche per gli usi pastorali del Borgo Galliano, che cresceva intorno al monastero. Quando il paese si coagulò nella parte più alta, divenne chiesa campestre, infatti i Registri Parrocchiali la definiscono chiesa rurale ed anche extra moenia, cioè fori le mura. 

La chiesa venne poi utilizzata come cappella cimiteriale fino al 1886, quando si inaugurò il camposanto municipale

Il primo impianto risale presumibilmente alla prima metà del XII secolo e risente degli influssi delle prime chiese benedettine. L’esistenza di una fabbrica romana è confermata dai documenti oltre che da tracce archeologiche. Ricordata nelle carte con l’appellativo “ad Gaglianum” o “ad Galignanum”, in una bolla del pontefice Clemente III, datata 11 dicembre 1188, è elencata tra le dipendenze del monastero benedettino di San Nicolò a Tordino. 

La chiesa più volte rimaneggiata, deve la sua attuale veste architettonica ad una serie di rifacimenti, dei quali quello più imponente risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando la chiesa venne parzialmente demolita nella parte absidale per la costruzione del camposanto. 

Le colonne divisorie all’interno della chiesa appartengono al primitivo impianto costruttivo. Le sei più antiche risultano composte da tamburi di varia altezza sovrapposti tra loro, realizzati con materiali di diversa consistenza e raccordati al capitello mediante un elemento in laterizio. 

La navata centrale è caratterizzata da una spiccata verticalità, accentuata attualmente dal tetto in legno a vista. Precedentemente era presente una controsoffittatura piana, di modesta fattura, rimossa nei recenti restauri. 

Al centro dell’abside semicircolare è presente una nicchia che contiene una pregevole statua della Madonna con il Bambino. Una visita pastorale del 1610 riferisce che sui muri “…tutt’intorno sono affrescate molte immagini di Nostro Signore, della Beata Maria e di Santi e Sante, dipinte a suo tempo per devozione…” . Di tali dipinti si è persa memoria. Un’altra visita pastorale del 1618 descrive l’altare come”…unico, basso e piccolo, tutto di pietra, con l’altare portatile consacrato di pietra e incassatonella mensa…”. 

Davanti all’altare viene descritta una cancellata, che non viene chiusa con la chiave ed ha gli ingressi senza porte. Una cancellata in legno, tutt’intorno all’altare, viene riportata anche nella visita pastorale del 1610. Il tetto della chiesa viene descritto come coperto con tegole e piccoli mattoni, segno che all’epoca non era stata ancora costruita la controsoffittatura in legno e che la tecnica costruttiva era quella consueta nel teramano, con le piastrelle in laterizio al posto del tavolato in legno. Una visita pastorale del 1630 dice che la statua della Vergine era conservata in un “tempietto” di legno dorato, con i veli davanti, posto sull’altare; che la chiesa aveva la torre e molti vani per abitazione, nei quali dimoravano due eremiti per la custodia della chiesa, e che risultava “biancheggiata”. Al lato della navata sinistra è presente un vano adibito a sacrestia, di remota costruzione, presumibilmente risalente al XVI secolo, dove sono presenti due botole a chiusura delle fosse carnaie. La facciata, secondo il Gavini, è di rifacimento moderno come pure il portale e il rosone, frutto probabile della ricostruzione ottocentesca. Gli ultimi lavori di restauro, diretti dall’architetto L. Martella ed eseguiti dalla ditta N. Cingoli e figlio di Teramo, iniziarono nel 1985 e finirono nel 1997.

Ultimo aggiornamento: 26/01/2022

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